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UNAEZEROQUATTRO

È una storia di neri profondi e di volti scolpiti dal dolore, una storia di pagine mangiate dal fuoco e di statue silenziose testimoni di segreti. È una storia il cui ricordo si è raggrumato in pochi oggetti sopravvissuti al tempo e alle fiamme: un pupazzetto triste, una rosa di stoffa, un orologio rimasto fermo a quel giorno, a quell’ora precisa, come se in quel giorno e in quell’ora il tempo della Storia si fosse fermato.

L’autobomba che nella notte tra il 26 ed il 27 maggio 1993 esplode in via dei Georgofili, nel cuore del centro storico di Firenze, è una ferita individuale e collettiva che segna le pietre e le anime, lasciando dietro di sé una scia di lutti da elaborare e di domande a cui trovare risposta: Paolo Cagnacci e Matteo Cesari documentano ciò che è rimasto, raccolgono indizi, danno forma e immagine ai dubbi e ai fantasmi. Entrano con discrezione nelle case di chi nell’attentato ha perduto chi amava o una parte di sé, incontrano i vigili del fuoco che hanno estratto le vittime dalle fiamme, i magistrati che hanno dissepolto quelle verità scomode che, dietro alle responsabilità di Cosa Nostra, fanno intravedere una lunga scia di convergenze tra politica, massoneria, mafia ed estrema destra eversiva che conduce fino alla strage.

Cagnacci e Cesari, con il loro approccio lineare, diretto ed empatico, sollevano la polvere dai faldoni e dalle coscienze richiamandoci all’obbligo morale di ricordare. Fotografie e video evocano presenze, raccolgono indizi, attingono al repertorio della nostra memoria, intrecciando passato e presente, possibilità e ineluttabilità: la narrativa che i due fotografi fiorentini costruiscono intorno all’attentato di via dei Georgofili mescola testimonianza e reinvenzione con la consapevolezza che la fotografia è, prima di tutto, un potente strumento di interpretazione della realtà.

E che più la realtà è complessa e più si fa necessario trovare un punto di vista per guardarla; più sono dense le ombre più quel flash che Cagnacci e Cesari amano usare come codice del loro racconto serve a rischiarare, in molti sensi, la visione. In UNAEZEROQUATTRO il loro sguardo è un faccia a faccia con la Storia, eco del rintocco di una delle sue ore più buie.

Irene Alison


Un numero civico, un libro con le pagine toccate dal fuoco, un quadro restaurato, i resti di un altro perso per sempre. L’orologio che si è fermato all’ora della strage. Oggetti, quello che rimane: cose conservate nei cassetti o nelle case. E poi le persone, i volti sui quali sono passati gli anni combattendo nelle aule di giustizia per una verità o dentro la scatola della memoria perché i ricordi non si levigassero con il tempo.

Questo viaggio non ci mostra la notte dell’esplosione del Fiorino in via dei Georgofili a Firenze, non comincia dalle braccia lunghe delle gru che scavano tra le macerie, non dai morti - cinque e tanti feriti e tante ferite che non si vedono e che escono dalle statistiche, ma che ci portiamo addosso. Non comincia dall’arte degli Uffizi offesa o dalle facce dei mafiosi alla sbarra, ma dal buio degli sfondi. Da quello che ancora non sappiamo, dai sospetti, dalle prove che mancano, ma che proiettano ombre anche ora, anche qui.

La mostra fotografica di Paolo Cagnacci e Matteo Cesari riporta a trent’anni fa, alla polvere e alle macerie della Torre dei Pulci sbriciolata senza vederne i resti, agli Uffizi devastati senza vederne i corridoi.

Ci riporta ai vetri che erano dappertutto lungo quelle strade strette del centro che si chiamano via Lambertesca e via dei Georgofili, le schegge entravano nelle suole delle scarpe e la gente dietro le transenne chiedeva di capire cosa fosse stata quell’esplosione che prima pareva una fuga di gas, poi è diventata una parola difficile da pronunciare: attentato. Una strage di mafia nel cuore di Firenze.

Le fotografie e i video che scorrono in questa mostra raccontano il dopo che è un tempo indefinito sul calendario fatto di battaglie quotidiane, di atti di coraggio grandi e piccolissimi, perché anche provare a rialzarsi dal letto dopo che hai perso qualcuno e qualcosa della tua vita precedente, è un atto di coraggio.

Le immagini di UNAEZEROQUATTRO non sono cristallizzate nel presente sono come le ultime pagine di un libro: ogni volto, ogni oggetto, ogni stanza si porta dietro una radice che comincia nell’istante esatto in cui il Fiorino esplode e incendia i muri che ha intorno e poi viene il buio e dopo il buio le mani dei soccorritori, dei vigili del fuoco, delle forze dell’ordine, le mani della gente, dei magistrati, dei dottori che curano le ferite, dei testimoni, le mani migliori di Firenze per guardare avanti senza perdere nemmeno un frammento di quello che è stato. Una strage di mafia, una guerra scoppiata senza mai essere stata dichiarata.

Laura Montanari

Via de' Bardi (Firenze). Nel 2019 emerge la testimonianza, mai presa in esame in fase processuale, di una presenza femminile nei pressi di via de' Bardi pochi minuti prima gli attimi dell’esplosione. Il testimone riferisce di una donna dai capelli corti e scuri, vestita con un tailleur, che discute animatamente con due giovani intenti a scaricare una borsa pesante da una vettura di colore blu mentre sulla scena sopraggiunge un Fiat Fiorino bianco. Una donna con una pettinatura e corporatura simile fu segnalata da altri testimoni per quanto riguarda gli attentanti di Milano e Roma del 1993. Il testimone rinviene anche una cartina stradale di Firenze, caduta ai due uomini, con due luoghi cerchiati di rosso.


Questo episodio farebbe pensare che elementi esterni al gruppo mafioso, abbiano partecipato in qualche modo all'organizzazione dell'attentato; si ipotizza che questo, verosimilmente, sia il momento in cui qualcuno fornisce materiale esplosivo ad alto potenziale di tipo militare da caricare sul Fiorino. Periti e specialisti durante le indagini hanno convenuto che la composizione della carica esplosa in via dei Georgofili sia stata arricchita con 100 chili di esplosivo di tipo militare e ritengono che sia proprio questo esplosivo ad aver provocato una devastazione di tale portata.

Una delle tele seicentesche custodite all’interno dell’Accademia dei Georgofili danneggiate durante l’attentato. Le macchie scure sulla tela sono le porzioni del dipinto che non è stato possibile recuperare durante il restauro. Dei 173 dipinti danneggiati dall’esplosione, custoditi all’interno dell’Accademia, del Corridoio Vasariano e dell’adiacente Galleria degli Uffizi. 3 risulteranno quasi completamente irrecuperabili a causa dalla massa di schegge di pietra e vetri provocate dalla deflagrazione e ad oggi sono stati solo parzialmente restaurati (l’Adorazione dei pastori di Gherardo delle Notti, i Giocatori di carte e il Concerto di Bartolomeo Manfredi).

Via Lambertesca vista dal piazzale degli Uffizi. L’esplosione colpì in maniera molto violenta questa sezione della Galleria che corre parallela a via dei Georgofili. Complessivamente, andò danneggiato circa il 25% delle opere presenti in Galleria. Fu la mole trecentesca della Torre dei Pulci che, assorbendo l'onda d'urto, evitò che si potessero avere danni maggiori alle opere d'arte. L’esplosione ha provocato 5 morti: 4 dei quali componevano la famiglia Nencioni, la quale viveva proprio nella Torre dei Pulci. Secondo una ipotesi emersa dagli interrogatori dei pentiti, fu una telecamera posta sull'angolo di via Lambertesca a far desistere gli esecutori a non lasciare il Fiorino Fiat parcheggiato sul piazzale degli Uffizi, probabile bersaglio privilegiato dell'attentato.

Il salone delle cerimonie della Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, le cui finestre si affacciano su via dei Georgofili. L’esplosione devastò completamente il salone e provocò il crollo di parte dei solai. L’Accademia dei Georgofili è un’istituzione unica nel suo genere e di enorme importanza storica: è il primo istituto scientifico del mondo a occuparsi specificamente di agricoltura, economia, politica ambientale e uno dei primi a essere ufficialmente riconosciuto come ente pubblico di ricerca da uno stato sovrano (il Granducato di Toscana).

Paolo Lombardi che abitava all’incrocio tra via dei Georgofili e via Lambertesca. Nonostante il suo appartamento fosse a pochi metri di distanza dall’autobomba rimase solo lievemente ferito insieme alla moglie e ai figli, perché l'angolo dell’edificio attutì e deviò l’onda d’urto dell’esplosione. Subito dopo la deflagrazione, nel caos e nell’oscurità, fu chiamato da Walter Ricoveri, che abitava al piano superiore e che non riusciva a portare via l’anziana madre che si era salvata. Con l’ausilio di una torcia, che Walter aveva in casa, riuscirono a portare la donna al primo piano dove furono raggiunti dai soccorritori.


Mariangela Tanda, insieme al marito Daniele Gabbrielli ed al figlio, abitava al civico 6 di via Lambertesca, all’incrocio con via dei Georgofili: le finestre del salotto della sua abitazione affacciavano davanti alla Torre dei Pulci, proprio dove fu collocata l’autobomba. Rimase ferita, ma è viva grazie al fatto che alle 1:04 si trovava nella camera da letto le cui finestre si affacciano sulla stretta via che confina con l’edificio.


Daniele Gabbrielli. Daniele abitava con la moglie e il figlio di 9 anni al civico 6 di via Lambertesca, all’incrocio di via dei Georgofili, esattamente di fronte al punto dove era parcheggiato il Fiorino con l'esplosivo. Si salvarono dall'onda d'urto, che investì in pieno la loro abitazione, perché in quel momento si trovavano nelle camere da letto, situate nella zona posteriore dell'edificio rispetto alla strada. Riportarono numerose ferite dovute alla massa di vetri e detriti causata dall’esplosione.

Vasco Poggi, faceva parte di una delle due squadre di vigili del fuoco che intervennero in via dei Georgofili. Le prime notizie che arrivarono alla centrale operativa erano confuse e parlavano di una generica esplosione con crollo e incendio in una zona centrale della città. Le squadre non sapevano con certezza dove dirigersi, ma vetri rotti e calcinacci erano presenti già a diverse centinaia di metri dal luogo della deflagrazione. Via dei Georgofili è una stretta strada parallela alla Galleria degli Uffizi a cui si accede da entrambi i lati passando sotto a due archi, cosa non del tutto semplice per le autoscale e i mezzi dei vigili del fuoco. La strada e tutta la zona circostante era avvolta dall'oscurità, si avanzava con le torce e le fotoelettriche. Si parlava di una esplosione a causa di una perdita di gas, ma i segni della devastazione e un forte odore di polvere da sparo, fecero pensare ai soccorritori a qualcosa di ben diverso. I primi interventi furono quelli del recupero dei feriti rimasti bloccati negli edifici semidistrutti e danneggiati; si spensero le fiamme divampate nell'appartamento dove fu recuperato il corpo carbonizzato dello studente Dario Capolicchio e si cercarono eventuali persone bloccate dalle macerie. Ispezionando quello che rimaneva della Torre dei Pulci ci si rese conto dei resti di una camera da letto. Nessuno dei soccorritori al momento pensava che la Torre, sede dell'Accademia dei Georgofili fosse abitata. Furono momenti convulsi, alcune persone soccorse parlavano di una intera famiglia, con due bambine piccole, che viveva all'ultimo piano dell'edificio che non c'era più. Si iniziò a scavare a mano fra le macerie, gli ambienti stretti e i soffitti semidistrutti e pericolanti non permisero di usare macchine da escavazione. Dopo alcune ore furono recuperati i corpi senza vita dei membri della famiglia Nencioni, nel frattempo si parlava già di una esplosione causata da una bomba. Benché abituati ad intervenire in scenari difficili e tragici, per tutti loro, a distanza di 30 anni, quella notte rimane un evento che segnò enormemente le loro vite per tutto quello che dovettero affrontare in quelle ore.


La parete della Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, che crollò a causa dell'esplosione. Durante il restauro è stato deciso di tenere la parete ricostruita arretrata di alcuni centimetri, a simboleggiare la ferita inferta alle persone e in ricordo dei danni provocati al patrimonio culturale. L'Accademia dei Georgofili è un’istituzione fiorentina nata a fine 1700 per promuovere studi di agronomia, selvicoltura e geografia economica e dagli anni '30 del 1900 è situata nel palazzo medievale conosciuto come Torre dei Pulci.

Gianfranco Bianchini, faceva parte di una delle due squadre di vigili del fuoco che intervennero in via dei Georgofili. …


Uno dei preziosi volumi antichi custoditi all’interno dell’Accademia dei Georgofili danneggiato dall’esplosione e dal successivo incendio che si sviluppò fra le rovine della torre. I volumi furono recuperati grazie all’aiuto dei vigili del fuoco e di comuni cittadini che, con l’esperienza maturata nell’alluvione del 1966, si adoperarono per portare in salvo i libri. I volumi, le lettere, le opere, furono tutti depositati nella sezione degli Uffizi opposta a quella investita dall’esplosione, all’interno della sala Magliabechiana, una grande sala vuota già sede di una biblioteca che permise di proteggere i preziosi volumi prima di avviarli al restauro.


Mauro Marchesini, faceva parte di una delle due squadre di vigili del fuoco che intervennero in Via dei Georgofili. …


Queste scale all’interno dell’Accademia dei Georgofili sono state scoperte dopo l’esplosione della bomba. La Torre dei Pulci, sede dell’Accademia è parzialmente inglobata nella Galleria degli Uffizi, durante il restauro della torre, susseguito all’attentato, è stata trovata dietro ad una parete una scala che conduce a un ambiente di 400 metri quadrati che era stato sigillato e di cui nessuno conosceva l’esistenza. Al termine del restauro questi spazi sono stati ceduti dalla Galleria degli Uffizi all’Accademia dei Georgofili.


Piero Montagnani, faceva parte di una delle due squadre di vigili del fuoco che intervennero in Via dei Georgofili. …


Il 5 Novembre 1992 fu fatto trovare nel Giardino di Boboli a Firenze un proiettile da mortaio modello Brixia risalente alla Seconda guerra mondiale, l’ordigno era occultato in un sacco nero e collocato dietro la statua di Marcus Cautius. Indagini e interrogatori di pentiti fecero emergere il coinvolgimento in tale episodio di un gruppo di mafiosi catanesi. Quello che si voleva ottenere era compiere un atto intimidatorio per indurre lo Stato ad allentare la pressione sulle famiglie mafiose dopo gli attentati del 1992 ai giudici Falcone e Borsellino. Le istituzioni scelsero di non dare risalto con i media all'episodio. Significativo è il fatto che già dall'ottobre del 1992 la mafia avesse individuato il patrimonio artistico come obiettivo per colpire lo Stato.


Andrea Valleri, faceva parte di una delle due squadre di vigili del fuoco che intervennero in via dei Georgofili. …


Una sedia dell'appartamento di Danielle Mosca, con i visibili danni provocati dall'incendio che seguì l'esplosione e che investì la palazzina di fronte la Torre dei Pulci e dove trovò la morte lo studente Dario Capolicchio che viveva al piano sottostante.

Il cimitero della Romola. Fabrizio Nencioni e Angela Fiume erano originari della Romola, un piccolo paese in collina immerso negli olivi a pochi chilometri da Firenze. Si erano trasferiti in città da qualche tempo, dopo che Angela aveva trovato lavoro come custode dell'Accademia dei Georgofili. La famiglia riposa adesso nel cimitero del paese. Una scultura, un olivo di bronzo, è stata collocata nel punto dell'esplosione per ricordare le vittime.

Piccola rosa di stoffa che Walter Recoveri recuperò tra le macerie del suo appartamento. La rosa era stata regalata dal padre a sua madre da giovani. Da allora la costudisce con cura e affetto, prendendo quel ritrovamento in mezzo alla devastazione, come il segno dell'“intervento” del genitore scomparso anni prima per salvarli dall'esplosione.


Walter Ricoveri, abitava con l'anziana madre all’angolo tra via Lambertesca e via dei Georgofili. Quando avvenne l’esplosione il tetto franò all’interno dell’appartamento, l’unica trave che rimase intatta era quella sopra alla poltrona dove era seduto, si trovò quindi coperto di macerie ma riportò solo lievi ferite. Ha deciso di farsi fotografare sulla stessa poltrona che ha recuperato e deciso di restaurare. “Mia madre era andata a letto, la sua camera era in angolo con via dei Georgofili, sentii gridare aiuto, si salvò perché aveva un letto con la testata imbottita, che le cadde addosso e la riparò dal crollo del muro che separava la mia camera dalla sua”. Walter è stato il primo a presentarsi come parte civile, ha presenziato a tutti i processi sulla strage e si è tenuto sempre attivo e informato sugli sviluppi delle indagini. Questo tragico avvenimento ha risvegliato in lui una coscienza politica, che con il tempo si era assopita; quello che ha sempre voluto fin dalle prime ore successive allo scoppio è “capire” cosa e chi c'è realmente dietro a questa bomba.


La torcia che l’avvocato Marco Ammannato ha custodito per 30 anni in ricordo della fiaccolata che fu organizzata il giorno dopo la strage in Piazza della Signoria a Firenze a cui lui, allora giovane studente, ha partecipato insieme a gran parte della cittadinanza.


Teresa Fiume, sorella di Angela Fiume, cognata di Fabrizio e zia di Nadia e Caterina. Questa piccola chiesa alla Romola, paese dove vive sia la famiglia Fiume che la famiglia Nencioni, è uno dei luoghi dove Teresa andava con Nadia a giocare e passeggiare. La sorella Angela viveva nella Torre dei Pulci da alcuni anni con la famiglia perché lavorava come custode dell’Accademia dei Georgofili, mentre Fabrizio era ispettore dei vigili urbani presso una delle caserme del centro storico.


La poesia “Il Tramonto” scritta dalla piccola Nadia tre giorni prima dell’esplosione della bomba. La poesia è diventata il simbolo di questa tragedia, anche per le parole che, lette a posteriori, sembrano evocare davvero quello che di lì a poco sarebbe avvenuto. È diventata un simbolo così potente che gli inquirenti hanno deciso di chiamare “Tramonto” l’operazione che ha portato alla cattura dell’ultimo latitante e mandante mafioso delle stragi del 1992-93 Matteo Messina Denaro, nel gennaio di quest’anno, a 30 anni esatti dalla cattura di Totò Riina.


Danielle Mosca nel suo appartamento all'ultimo piano in via dei Georgofili dove tutt'ora vive. La notte dell'attentato si trovava nella camera da letto situata nel sottotetto dell'edificio, fortunatamente lontana dalle finestre investite dall'esplosione. L’appartamento sottostante prese fuoco e vi trovò la morte lo studente Dario Capolicchio. Danielle riuscì a rifugiarsi su un piccolo terrazzino che si affaccia sul tetto, non potendo fuggire dalle scale che per due piani erano crollate. Ricorda di essere rimasta per un tempo indefinito e “interminabile” sul tetto, avvolta da una oscurità irreale e dalle voci e grida dei feriti e dei sopravvissuti, mentre le fiamme avanzavano. Sarà messa in salvo da un soccorritore che riuscì a prenderla, dopo che si era lanciata nel vano scale dell'edificio confinante. È stata l'unica proprietaria a tornare, dopo i 3 anni di restauro e ricostruzione, nella sua vecchia abitazione. Danielle racconta che per anni aspettava sveglia che passassero le 1.04 di notte, per potersi addormentare.

“La Bubina”, la bambola che Patrizia Nencioni vide e recuperò in cima al monte di vestiti, oggetti e calcinacci che erano stati asportati dal luogo dell’esplosione: “era stata regalata da Fabrizio ad Angela in un viaggio negli Stati Uniti, era stata poi data a Nadia, ma Angela si era raccomandata di non sciuparla, per far giocare anche la sorella una volta diventata grande”.


Leonardo Gabbrielli con i suoi figli. All’epoca della strage era un bambino, abitava al civico 6 di via Lambertesca, a circa 10 metri da dove era piazzato il Fiorino imbottito di esplosivo, si salvò perché dormiva, come i genitori, nelle camere che affacciavano su una via laterale. “Quello che ricordo dei giorni successivi è l’aiuto dato dalle persone che avevo attorno, io ero un bambino, sono tornato
presto a scuola ed i compagni di classe mi hanno accolto con affetto, questo per me è stato importante perché mi faceva pensare che la vita sarebbe potuta continuare con una certa normalità, la mia preoccupazione era quella di andare a recuperare a casa le mie cose perché avevo l’esame di terza media”.


L’orologio dell’appartamento di Walter Ricoveri, fondatore dell’Associazione delle Vittime della Strage, rimasto fermo all’ora che segnava nel momento dell’esplosione.

Luigi Dainelli, marito di Patrizia Nencioni sorella di Fabrizio morto nella strage. È attualmente il presidente dell’Associazione delle Vittime, che da 30 anni insieme ai soci si adopera affinché questa tragedia non sia dimenticata e venga fatta luce sui mandanti occulti delle stragi. Attraverso interventi pubblici, soprattutto incontri nelle scuole, l’Associazione si fa portatrice di un messaggio di memoria e legalità.


Il numero civico dell’abitazione della famiglia Gabbrielli che si trovava all’incrocio tra via dei Georgofili e via Lambertesca, in mezzo a quella devastazione, nonostante fosse posizionato a 10 metri dal punto della deflagrazione, rimase perfettamente intatto e fu raccolto e tenuto come ricordo di quel tragico evento.


Patrizia Nencioni, sorella di Fabrizio Nencioni, cognata di Angela Fiume e zia delle bambine Nadia di 9 anni e Caterina di 50 giorni, morte nella strage. La famiglia Nencioni abita alla Romola, un piccolo paese nel comune di San Casciano vicino Firenze. Patrizia era solita venire in questo uliveto con la piccola Nadia, a giocare e a raccogliere le olive. Fabrizio, il fratello, era un ispettore dei vigili urbani di Firenze, furono due colleghi di Fabrizio ad avvisarla quella notte che era successo qualcosa di grave e a portarla a Firenze dove apprese della morte dei suoi cari. Fu lei ad effettuare il riconoscimento delle salme.

Danilo Ammannato avvocato di parte civile incaricato dall’Associazione dei Familiari delle Vittime per il processo sulla strage dei Georgofili. “…nel 1993 iniziano le stragi, stragi che per 3 sentenze sono considerate eversive dell’ordinamento costituzionale, fatte per condizionare il popolo italiano, compiute a Roma capitale politica, Firenze capitale culturale, Milano capitale economica, (...) le stragi sono un colpo di maglio bestiale per fermare un qualche cosa in atto o per prevenire qualche cosa che deve avvenire, quindi noi in Italia abbiamo avuto una serie di stragi, cioè di colpi di maglio, e sono state effettuate essenzialmente per fermare l'avanzata di una politica autonoma...”.


I faldoni contenenti i documenti delle oltre 600 udienze dei processi, donati dall’Avvocato Ammannato all’archivio della Regione Toscana.


Marco Ammannato, figlio dell’avvocato Danilo Ammannato, avvocato di parte civile per l’Associazione delle Vittime della Strage di Firenze nel processo sulla trattativa Stato-mafia che si svolge a Palermo: il processo è di minacce aggravate allo stato e, quindi, inerente le stragi. È stata fissata per il prossimo 14 aprile l’udienza della Cassazione per il terzo grado di giudizio. Nella sentenza di appello emessa il 23 settembre 2021, erano stati assolti gran parte degli imputati condannati in primo grado. Con la sentenza di secondo grado, la corte d’assise d’appello di Palermo aveva assolto “perché il fatto non costituisce reato”, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, il generale Mario Mori, il generale Antonio Subranni e l’ufficiale dei carabinieri Giuseppe De Donno, tutti e tre ex ufficiali del Ros, riducendo la pena a 27 anni per il boss corleonese Leoluca Bagarella e confermando la pena a 12 anni per il medico Antonino Cinà.


L’Archivio della Regione Toscana, dove sono custoditi i faldoni con i documenti dei processi. Le indagini e i processi che ne sono seguiti hanno chiarito che, nonostante dopo l’assassinio del Giudice Paolo Borsellino lo Stato decise per un inasprimento delle pene per i reati di mafia, Riina e i capi delle famiglie alleate ai Corleonesi decisero di mettere lo Stato sotto pressione, minacciando nuove stragi. A niente servì la cattura di Riina il 15 gennaio del 1993. Fu proprio la trattativa tra lo Stato e la mafia a convincere i boss che le stragi alla lunga avrebbero pagato. Arrivarono le bombe di Fauro a Roma, via dei Georgofili a Firenze e poi ancora Roma e Milano.

Lo spazio antistante il Cimitero di Galciana (Prato). Il gruppo mafioso degli esecutori trovò appoggio e base logistica presso la famiglia Messana, una famiglia siciliana imparentata con taluni mafiosi di Palermo, e residente da tempo in una località nella periferia di Prato. Il camion sbarcato a Livorno, con occultato l'esplosivo, fu fatto arrivare presso il cimitero di Galciana, dove fu combinato il trasbordo del materiale esplosivo, confezionato in sacchi di plastica nera.


Nel novembre 1992 Mazzei, un malavitoso che era stato a lungo in carcere con Bagarella e che non era ancora “combinato”, cioè affiliato (solo nell’agosto del 1992 sarebbe entrato a far parte della mafia secondo i riti tradizionali), mise un proiettile da mortaio modello Brixia, risalente alla seconda guerra mondiale, dietro la statua di Marcus Cautius nel Giardino di Boboli a Firenze, all’interno di un sacco nero. La rivendicazione che fece successivamente al telefono era concitata e parlava in dialetto siciliano molto stretto: il centralinista non capì una parola e riattaccò. Il proiettile fu ritrovato un mese dopo e agli inquirenti ci volle un po’ per riavvolgere il nastro e dipanare la matassa. Nessuno per molto tempo prese seriamente in considerazione quel messaggio che Cosa Nostra aveva mandato.

Via Lambertesca termina all’interno del piazzale degli Uffizi, è la strada che corre in senso ortogonale rispetto a via dei Georgofili. Fu completamente investita dall’esplosione. Venne deciso di mettere a segno l’attentato di notte. Colpirono all’una e zero quattro.


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