PIANTA INVASION DRAMA Roberto di Caro ITA

AFGHANISTAN

“Ciao, bel figlio! Ti ho detto che l’Afghanistan è bellissimo? Il nord almeno. Stamattina ho attraversato un fiume in jeep, in mezzo a famiglie di esuli che rientravano dopo anni nella propria casa, a dorso di cammello con tutti i loro averi in pochi sacchi, o in trenta su un camion. Il cielo era terso, i colori delle persone vivissimi, tutto il resto, case e muri e burroni e quei percorsi di motocross che qua chiamano strade, il resto è di terra e ha il colore della terra, del deserto che attraversi per venire a Taloqan, dove sono ora.”

Mercoledì 21 novembre 2001

NOMADISMO

È un’attitudine del corpo e uno stato mentale: lo leggi nei volti dei profughi che a dorso di cammello rientrano ai loro villaggi, nei tratti dei mujaheddin che vanno irridenti alla battaglia, nell’incedere di donne e bambini nella luce del deserto.

VITA QUOTIDIANA

Quando nasci dentro una guerra infinita non c’è alcuna distinzione con il quotidiano. Si gioca suuna carcassa di carro armato, i murali ti mostrano le mine da evitare, sulla linea del fronte le bambine sgusciano il riso messo a essiccare sulla strada.

GUERRA

Al fronte di Kunduz i mujaheddin sparano, uccidono, muoiono, ma è ramadan, nessuno mangia, beve, fuma fino al tramonto. La resa del mullah e di seicento talebani è un semplice cambio di fronte. Von Clausewitz si rivolterebbe nella tomba, ma questa è la loro guerra, non la sua.

TALEBANI

Prigionieri, gli ultimi che hanno scelto di combattere: ma dalla folla nessuna vendetta, nessun tentativo di linciaggio. Uccisi, gli stranieri di Al Qaeda: ma anche per loro c’è rispetto, sguardi senza odio, una coperta a nasconderne il corpo.

VOLTI

Radiosi, di maestre e ragazze di nuovo a scuola dopo cinque anni, Kabul marzo 2002. In festa, dei ragazzini di nuovo liberi di ridere e giocare, Kunduz novembre 2001. In vetrina, di donne senza veli mai viste prima. Puliti, di giovani e vecchi non rassegnati, non assuefatti.

KABUL

Alla caduta dei talebani, una caotica metropoli di due milioni di abitanti a ridosso delle montagne, file di taxi gialli, il formicolare del commercio, librai tra i segni della distruzione, mendicanti, bazar in riva ad acque puzzolenti. Nel 2005, prime elezioni, le donne al parlamento.

CIVILTÀ

I minareti della Musalla, la Moschea del Venerdì, la Cittadella fortificata le cui origini risalgono ad Alessandro Magno. Più volte saccheggiata, distrutta da Tamerlano, fu suo figlio Shah Rukh a fare della città di Herat “la Firenze d’Oriente”, capitale delle arti e del commercio.

IRAQ

“Distribuiscono acqua potabile a Saddam City, la zona più povera e disastrata di Baghdad, roccaforte ieri del regime e oggi dell’integralismo sciita che l’ha ribattezzata Sadr City. 'Non prendetela, quell’acqua è infetta, serve solo per mostrare ai media che pensano al popolo', tuona l’altoparlante della moschea appena arrivano le autopompe. Sbandamento. 'I wahabiti del Kuwait ci hanno messo dentro qualcosa che fa star male', attacca a urlare uno. Ban Al Dhayi, giovane volontaria irachena dell’Unicef, prende un bicchiere e beve quell’acqua davanti a tutti. Gli uomini tacciono. Sono le donne che cominciano a riempire i bacili, prima le vecchie, poi le altre. L’altoparlante continua a strillare inascoltato.”

Roberto Di Caro, Baghdad Republic in “L’Espresso”, 2 maggio 2003

CURDI

Un popolo, intanto: lingua, tradizioni, usi, costumi, abiti. Fiero e orgoglioso. Rispettoso delle donne. Tollerante. Combattivo. Litigioso al suo interno, è vero. Beffato dalla storia, oppresso dai nemici, tradito dagli amici, anche oggi. E mai riconosciuto da nessuno.

GUERRA

Fratricida. Settaria. Di invasione. Tra potenze straniere su suolo iracheno. Per abbattere un tiranno, certo, ma senza sapere che fare dopo, come muoversi in una società complessa, come costruire una accettabile democrazia, insomma come vincere la pace.

ICONOGRAFIA

Saddam Hussein, il padre della patria, il condottiero, il vittorioso, osannato sui muri, in mausolei di pietra, persino sugli abiti di moda. In un giorno, abbattuto, cancellato, irriso: un diavolo con gli orecchini, l’asso di picche nel mazzo dei ricercati.

VOLTI

Di ragazzi precocemente indottrinati al jihad. Di donne che protestano e altre che combattono. Di ragazze in festa per la liberazione di Kirkuk. Di padri e figli e venerabili anziani. E di attrici che nel teatro Rashid, colpito e ancora fumante, recitano Camus.

VITA QUOTIDIANA

I dinari iracheni non valgono niente, si cambian o a peso. Sei dollari per 20 litri di benzina, 100 per un kalashnikov, chiusa per un anno la Borsa. Per strada si vive, si manifesta, si muore negli attentati. Fra controlli e filo spinato.

BAGHDAD

Deserta, nei primi giorni dell’occupazione americana. All’improvviso di nuovo caotica e brulicante di traffici e commerci dal fiume Tigri al “mercato dei ladri”. Le code per ricevere tessere e sussidi. E la distribuzione di acqua potabile, che il mullah sostiene “avvelenata dagli infedeli”.

CIVILTÀ

Reperti alla mercè dei ladri al museo di Baghdad. Saccheggiata dai predoni Ur, dove nacque la civiltà. Fatti saltare in aria dall’Isis templi e mura di Niniveh, capitale assira, e della seleucide Hatra. A Samarra distrutta da una bomba la cupola d’oro della moschea sciita di Al Askari.