È un fotografo documentarista britannico di origine indiana, nato nel 1971 a Londra. Il suo lavoro esplora la memoria, l’identità e il senso di appartenenza, attraverso immagini sia reali che messe in scena. Ha vinto il prestigioso World Press Photo nel 2000 e ha ricevuto riconoscimenti internazionali per progetti realizzati in India, Sudafrica, Regno Unito e Stati Uniti. Nel 2015 ha pubblicato Lost in the Wilderness, un libro dedicato alle riserve Sioux, definito uno dei migliori dell’anno dal critico Sean O’Hagan. Nel 2022 ha pubblicato Memoire Temporelle, un progetto ambientato a Bombay che riflette sul ricordo, sulla nostalgia e sul concetto di casa. Le sue opere sono state esposte in gallerie e istituzioni di rilievo a livello internazionale.
Memoire Temporelle del fotografo Kalpesh Lathigra, rappresenta la terza tappa del ciclo espositivo dedicato alla fotografia contemporanea Homecoming, ideato da Irene Alison e curato da Irene Alison e Paolo Cagnacci. L'evento è organizzato in collaborazione con Forma Edizioni e l'Associazione Infoto Firenze e grazie al supporto di Gruppo AF e Banca Ifigest. Il tema delle radici, della ricerca di sé attraverso il tempo e lo spazio della memoria, sta al cuore del percorso intrapreso con il ciclo “Homecoming“, ideato da Irene Alison per il Rifugio Digitale e interamente dedicato alla fotografia contemporanea. Terzo appuntamento di questo ciclo, la mostra Memoire… del fotografo inglese di origini indiane Kalpesh Lathigra è un viaggio nel viaggio: se “Homecoming“, infatti, vuol essere un’esplorazione del concetto di ‘casa‘, nel precario equilibrio tra interconnessioni globali e necessità di ritrovare un proprio posto nel mondo, quello di Lathigra è un cammino, a ritroso, lungo il filo che lo lega alla propria cultura ancestrale. Dall’Inghilterra, dove è nato, fino all’India, da cui provengono i suoi genitori.
Lungo questa traiettoria – un ritorno che ha il sapore di una scoperta – Lathigra sperimenta una condizione esistenziale in bilico tra ‘ora‘ e ‘allora‘, tra identità ed eredità, che appartiene a milioni di immigrati di seconda generazione nel mondo. Nei mercati, in mezzo alla folla e alle merci, tra vacche sacre e lottatori a petto nudo, ballerini di break dance e venditori di melograni, il fotografo raccoglie i frammenti dell’idea di India che si porta dentro e, allo stesso tempo, esplora con occhi nuovi un Paese a cui lo lega una relazione complessa e indissolubile. La sua fascinazione per l’India è la nostalgia per qualcosa che non si è mai veramente vissuto o è un senso di appartenenza che sta scritto nel sangue e nella pelle? Intima, carnale, seducente, polverosa, calda e colorata, la metropoli indiana si rivela generosamente con le sue contraddizioni davanti al suo obiettivo, conservando sempre parte del suo mistero: nelle ombre profonde, nello stormire delle foglie di palme, nel frusciare dei saari bordati d’oro, nell’orizzonte davanti a Bombay, in cui la linea tra il cielo e il mare si fa incerta e sfumata, tra lo smog, la bruma e gli occhi velati di malinconia.