È un artista, fotografo e professore con sede tra Amburgo e Berlino. La sua pratica si concentra su temi socio-economici e politici, combinando fotografia, collage video e installazioni in un approccio basato sulla ricerca e la narrazione soggettiva. Ha lavorato in numerosi Paesi, tra cui Iraq, Ucraina, Siria, Nigeria, Cina e India. Laureato con un Master in Fotografia, ha ricevuto premi internazionali come il World Photography Award e l’International Photography Award, ed è stato nominato per il Prix Pictet e il Leica Oskar Barnack Prize. Membro dell’Accademia fotografica tedesca dal 2016, ha fondato il laboratorio “Format” ad Amburgo. Dal 2024 è professore di fotografia artistica presso l’Università delle Arti di Darmstadt.
Kowitsch – Lonely Are All The Bridges del fotografo tedesco Robin Hinsch è la quarta tappa del ciclo espositivo Homecoming, ideato da Irene Alison e curato insieme a Paolo Cagnacci, in collaborazione con Forma Edizioni e l’Associazione Infoto Firenze. Il progetto riflette sulla possibilità di rappresentare oggi la guerra attraverso la fotografia, in un mondo in cui il fotogiornalismo tradizionale fatica a rendere la complessità del conflitto. Hinsch, che documenta i conflitti ucraini dal 2010, propone immagini sospese, intense e silenziose, che raccontano la devastazione lasciata dalla guerra. Paesaggi innevati, case distrutte, cattedrali sventrate, soldati esausti: ogni scatto è un… frammento di un mondo in frantumi. Ma la sua fotografia non cerca lo shock, non urla: osserva, ascolta, prende posizione accanto ai vinti. Le case ritratte non sono rifugi, ma luoghi abbandonati, abitati solo da fantasmi. L’idea di “ritorno” proposta da Homecoming si trasforma così in una riflessione sull’impossibilità di tornare davvero a casa. Tuttavia, la bellezza formale delle immagini di Hinsch apre uno spazio emotivo in cui è possibile pensare, comprendere, ricordare. Diversamente dalla fotografia sensazionalistica, queste immagini non cercano di sopraffare lo spettatore, ma di coinvolgerlo in un processo lento di consapevolezza. Mostrano la guerra non solo come evento, ma come condizione esistenziale, universale, e lasciano emergere una fragile speranza, anche tra le macerie.